Coloro fra essi che cansarono la morte, si ritrassero sopra un colle presso il mare; onde scoprirono alcune galee, che venivano a quella volta. Credutole amiche, scesero al lido, e molti, buttatisi in mare, giunsero sopra que’ legni. Erano essi Siracusani comandati da Leptine, che venivano in ajuto de’ Lucani. Ciò non di manco, Leptine ebbe commiserazione di costoro; li riceve tutti sulle sue navi (erano oltre mille); e, giunto a terra indusse i Lucani a lasciarli liberi, a patto di pagare ognuno di loro una mina d’argento (36), facendosi egli mallevadore per essi. Al tempo stesso, fece pacificare i Lucani con tutte le città greche di quelle parti.
Per questa nobile e virtuosa azione, lungi di riportare gli applausi del fratello, n’ebbe mala voce; a segno che lo rimosse dal comando dell’armata, che affidò all’altro fratello Tearide. Volea Dionigi che, invece di pacificare que’ popoli, si fosse impegnato a commetter male tra essi, perchè si fossero scambievolmente macerati; onde gli fosse venuto agevole in appresso sottometterli tutti. Empio pensiere, cui le moderne età hanno dato il nome più solenne, ma non meno turpe, di politica (an. 4 Olimp. 97: 389 a. C.).
L’anno appresso tornò Dionigi alla guerra d’Italia. Venuto prima a Messena, spedì Tearide con quaranta galee a dar la caccia ad un’armatella di dieci galee reggine, che sapea essere ne’ mari di Lipara. Furono prese e condotte a Messena. Dionigi, messi in ceppi quanti erano sopra que’ luoghi, li lasciò in custodia de’ Messenesi.
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