Assai si segnalarono costoro; e ritornarono in Sicilia altamente lodati e generosamente ricompensati.
Dopo il lungo ozio, riprese Dionigi le armi contro Cartagine. Nell’anno 1o dell’Olimp. 103 (368 a. C.) venne fuori, con un esercito di trentamila fanti e tremila cavalli, ed un’armata di trecento galee. S’insignorì di Selinunte, Entella ed Erice. Volle assalire Lilibeo; e ne fu respinto. Avuto notizia che il foco s’era appiccato all’armata cartaginese, credutola tutta perita, rimandò la maggior parte de’ suoi legni a Siracusa, lasciatine solo centotrenta nel porto di Erice. Ma il foco avea fatto poco danno al naviglio affricano. Dugento di quelle galee vennero ad attaccare alla sprovveduta i Siracusani; e la maggior parte dei legni loro furono presi o distrutti. Sopraggiunto l’inverno, si fece posa al combattere; ma Dionigi non potè più ricominciare quella guerra.
Un oracolo (nè oracoli, che indovinavano dopo l’accaduto, mancavano in quell’età) avea detto che egli dovea morire, quando avrebbe vinto i migliori di lui. Vuolsi ch’egli, credendo che l’oracolo parlava de’ Cartaginesi, per non fare avverare il vaticinio, non avesse mai osato portar le cose agli estremi contro d’essi. Ma non dei Cartaginesi, de’ poeti l’oracolo intese dire; imperocchè Dionigi avea la follia di credersi poeta migliore di tutti, ovechè tutti i poeti erano migliori di lui. Gli adulatori lo confermarono tanto in quella insania, che mal ne incoglieva a coloro, che osavano disprezzare i suoi versi.
Filosseno da Citera, buon poeta ditirambico, era una volta a mensa con lui: letto un suo poema, il tiranno ne chiese il parere del poeta.
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