Non vale il fastidio d’udirlo con incivile franchezza colui rispose. Stizzito Dionigi, lo fece carcerare. Trattonelo il domane per l’intercessione degli amici, gli lesse un altro poema. Filosseno, rivolto alle guardie, disse loro: Riconducetemi al carcere. L’arguzia fece ridere lo stesso Dionigi. Un’altra volta lettogli alcuni versi d’una sua tragedia: Sono compassionevoli, disse il poeta; e ’l tiranno interpretò il detto in favor suo.
Il grande oggetto dell’ambizione di Dionigi era il riportare il premio ne’ giuochi olimpici. Nell’entrare dell’Olimpiade 97 (392 a. C.), mentre assediava Reggio, mandò in Olimpia il fratello Tearide a disputare per lui il premio della poesia e della corsa de’ carri. Vi giunse costui con magnificentissimo apparato. Cavalli de’ migliori fra i bellissimi che in quell’età ne producea la Sicilia; carri di straordinaria leggiadria, padiglioni, tessuti d’oro con delicatissimo disegno; ed un coro di scelti cantori, per declamare le poesie.
Sulle prime la splendidezza degli arredi e la bella voce de’ cantori attirarono la maraviglia e il concorso del popolo. A poco a poco l’illusione venne meno; i versi parvero, com’erano, cattivi; il popolo cominciò a dileggiarli; passò poi agli urli; e finalmente ne venne in tanto fastidio, che saccheggiò le tende. Non più fortunato esito ebbe la corsa de’ carri: alcuni di questi, uscendo dalla carreggiata, andarono sossopra; altri urtando fra essi si ruppero. Per soprassoma di sventura, la nave, che riportava gli avanzi di quella spedizione, assalita da fiera tempesta, a malo stento potè salvarsi nel porto di Taranto; e quindi Tearide e gli altri, dolenti e scornati. si ridussero a Siracusa.
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