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      VI. - Quel contrattempo non guarì Dionigi dalla smania di poetare. L’anno 3o dell’Olimpiade 98 (386 a.C ), mandò altri poemi in Olimpia, collo stesso esito. Ne fu per impazzire. Finalmente la fortuna gli fu più propizia in Atene. Celebrandosi ivi le feste di Bacco, vi mandò una sua tragedia, che fu premiata. Avuta la lieta notizia, poco dopo d’aver conchiusa la tregua co’ Cartaginesi, si diede pel giubilo ad ogni maniera d’intemperanza. In uno stravizzo fatto co’ suoi amici, tanto mangiò, e bevve così smodatamente, che ne tramortì; ed ivi a poco finì di vivere nel 63o anno della sua vita e 38o della tirannide.
      Quanti hanno scritto di quest’uomo, da Diodoro in poi, lo dipingono come un despoto crudelissimo, senza fede, senza religione. Ma è da considerare, ch’egli ebbe ad aver nemici tutti i repubblicani; i quali ed a viva voce e negli scritti loro, si studiavano di denigrarne il nome. Un tale linguaggio, che allora poteva anzi essere una prova della libertà del popolo, adottato dagli storici posteriori, e per essi a noi tramandato, è divenuto argomento della servitù de’ Siracusani. Forse, se le storie dì Filisto fossero a noi giunte, conosceremmo meglio la natura del governo di Dionigi e ’l carattere di lui. Pure i fatti stessi narrati da Diodoro e dagli altri mostrano, che il tiranno non era despoto. L’assemblea del popolo da lui ne’ casi più gravi chiamata; la guerra contro Cartagine, stanziata dal popolo; i messi, spediti a dichiarar la guerra in nome del popolo; l’adunanza del popolo, convocata dopo la morte di Dionigi I, per esserne riconosciuto il figlio, provano che la somma autorità era nel popolo; e ’l tiranno aveva solo il comando delle armi e ’l potere esecutivo.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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