Era allora per ispirare la tregua conchiusa dal morto tiranno co’ Cartaginesi. Il giovane e dappoco Dionigi, pieno di paura, chiamò a consiglio i cortigiani, per discutere ciò ch’era da fare. Mentre gli altri si mostravano non men paurosi di lui, Dione cominciò a rimproverare la costoro ignavia; mostrò poi lo stato florido del paese, per cui potea Dionigi scegliere a senno suo la pace senza viltà, la guerra senza timore. Se volea la pace, si offrì ad andare egli stesso a trattarla in Cartagine; se la guerra, disse esser pronto a provvedere a sue spese altre sessanta galee, se si credea che la numerosa armata, lasciata dal vecchio Dionigi, non fosse sufficiente.
Quel discorso fu a Dionigi tanto gradito, che indi in poi mostrò di seguir sempre i consigli di Dione; il quale, magnanimo, eloquente, d’alto legnaggio, prudente, adorno d’ogni maniera di utili cognizioni, doviziosissimo com’era, oscurava in tutto gli altri cortigiani. Però costoro facevano ogni loro possa per farlo cadere. Cominciarono a far nascere sospetti nell’animo dell’inesperto Dionigi, facendogli credere ch’egli mirasse a spogliarlo del governo, per darlo ad alcuno de’ figliuoli della sorella sua. Cattavano al tempo stesso l’amicizia del tiranno coll’adulazione, e col procacciargli a larga mano quei piaceri, ai quali per le prime abitudini era inclinevole. E tanto fecero, che Dionigi, dimentico delle platoniche insinuazioni di Dione, tutto si diede all’ubbriachezza ed ai più sfrenati e turpi sollazzi.
Pure non disperava Dione di trarre quel giovane, mal’educato più presto che maligno, a migliori costumi.
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