Venivagli sempre dicendo, non essere nè le numerose armate, nè le migliaja di soldati, che davano consistenza agl’imperi: ma l’amore e ’l rispetto de’ sudditi essere i nodi adamantini, che tengono connesse tutte le parti dello stato; nè potere egli esser amato o rispettato, finchè si mostrava superiore agli altri solo per le dovizie e pe’ nobili arredi, mentre il suo contegno e le azioni sue erano simili a quelle de’ più vili plebei; essere però necessario volgere ogni suo studio all’acquisto di quella sapienza, di che il volgo mancava; e ciò poterlo di leggieri ottenere col chiamare a sè Platone, sotto la cui scuola sarebbe presto divenuto sapiente.
L’arrendevole Dionigi entrò allora in fregola di divenir filosofo. Scrisse egli stesso a Platone per invitarlo a venire in Siracusa. All’invito di lui si unirono le preghiere dello stesso Dione e quelle di tutti i pittagorici d’Italia; i quali speravano che, imbevuto il giovine della platonica filosofia, indotto si sarebbe a deporre la tirannide. Ma la tirannide avea grandi fautori in Siracusa. Coloro, che ministri erano e partecipi de’ capricci e delle dissolutezze del tiranno, e che alcun pro traevano dall’attuale forma di governo, erano naturalmente nemici della severa platonica filosofia e di qualunque innovazione. Per dare alla tirannide un nuovo sostegno, indussero Dionigi a richiamare dall’esilio Filisto; il quale, bandito per domestiche brighe dal primo Dionigi, s’era ritirato in Adria.
Era stato Filisto il primo a dar mano al vecchio Dionigi nell’usurpazione della tirannide; era sempre stato il suo amico ed uno de’ più prodi generali suoi; e in tutti i tentativi, che dalla fazione repubblicana si erano fatti per cacciarlo dal governo, Filisto era sempre stato dalla sua.
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