Forse costui, col lungo studio delle vicende de’ popoli, e massime del popolo siracusano, s’era convinto che, se in tutti i paesi il passaggio dal governo popolare all’anarchia era facile, in Siracusa era sempre stato facilissimo e quasi istantaneo; e che quella città era stata gloriosa e potentissima, solo quando la suprema autorità, posta nelle mani di un solo, non dava luogo ad interne perturbazioni. Certo, se tali erano i costui pensieri, i fatti anteriori e quelli che poi seguirono, ampiamente ne fanno l’apologia, e mostrano aver egli avuto più solito intendimento di Dione; il quale, pieno la mente della platonica utopia, voleva assai più largamente governo. Questi dispareri pigliaron poi forza e carattere di nimistà, dopo il ritorno di Filisto, per essere costoro due divenuti i capi di due fazioni, che acremente pugnavano.
II. - Tale era lo stato della corte di Siracusa, quando Platone vi giunse l’anno 1o della 104 Olimpiade (364 a. C.), o in quel torno. Il tiranno gli venne incontro sino al lido. Allo scendere dalla nave, fattolo salire sopra un carro magnifico, tratto da quattro cavalli bianchi, seco lo menò al suo palazzo. Pubblici sacrifizî furono ordinati, per render grazie agli Dei di tanto favore. Il palazzo del tiranno cambiò d’aspetto. Al bagordo successe la compostezza; alle beverie la temperanza. In tutte le sale si vedevano filosofi a disputare, geometri a delineare. In poco d’ora Dionigi tanto s’imbevve di platonica filosofia, che un dì in un pubblico sacrifizio, come il banditore gridò, secondo il consueto, di pregare gli Dei per la lunga conservazione del tiranno e della tirannide, Dionigi sdegnato esclamò: Cessa da tali imprecazioni.
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