Fra costoro volea primeggiare Dionigi; ma no ’l potea. Nel disputare andava anfanando; storpiava le mal concepite idee di Platone; e movea le risa altrui. Però pose ogni studio ad indurre quel filosofo a ritornare in Siracusa. E, perchè conoscea che la sola via di venirne a capo era il fargli sperare il ritorno dell’amico, gli scrisse che, se veniva, poteva ottenere che Dione rimpatriasse, ma nulla avea da sperare per lui, negandosi. Allo stesso fine fece che la moglie e la sorella di Dione a lui ne scrivessero, per muover Platone a venire. A tali stimoli fece aggiungere le preghiere d’Archita da Taranto, capo de’ pittagorici d’Italia, il quale, avutone la parola di Dionigi, lo assicurò del libero ritorno.
Indotto da stimoli così potenti il filosofo, comechè già grave d’anni, venne per la terza volta in Siracusa. Le stesse accoglienze, le confidenze stesse riportò sulle prime. A lui solo era concesso accostarsi in qualunque ora al tiranno, senza essere prima dalle guardie frugato nella persona. L’astronomo Elicone avea, uno di quei dì, predetto un’ecclissi del sole; e, come si avverò per punto nel momento da lui assegnato, Dionigi gli regalò un talento. L’arguto Aristippo disse allora in un crocchio d’amici «Anch’io predico un gran caso: Dionigi e Platone saranno presto nemici.» Tal vaticinio s’avverò esattamente come l’ecclisse. Platone insistea sempre per lo adempimento della promessa di richiamarsi l’amico; Dionigi lo tenne per alquanti giorni in pastura, mettendo avanti vani progetti di pacificazione; ed intanto sperava piegarlo a forza di smancerie.
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