I legni, battuti dai flutti, spinti con forza dai venti, furono per rompere sulle coste d’Affrica, finalmente il vento cadde e si volse ad ostro; il mare si abbonacciò; il cielo si schiarì: le navi, voltate le prore, giunsero in poco d’ora ad Eraclea, città soggetta al dominio cartaginese. Vi comandava un Sinalo, grande amico di Dione: pure, non sapendo quali legni erano quelli, i suoi soldati corsero al lido per impedire lo sbarco: ma, come videro i Greci scendere dalle navi, si volsero in fuga, rientrarono in città, e i soldati di Dione in confuso con essi. In quel trambusto si incontrarono gli amici. Si fece alto. I Greci, che avean creduto di trovare una terra nemica, trovarono all’incontro ospitalità ed ogni maniera di conforto.
Sinalo informò l’amico non essere in quel momento Dionigi in Siracusa; essere partito con ottanta galee alla volta del mare Adriatico, per visitare alcune città, da lui non guari prima edificate in quelle spiagge. Avuta tale notizia, i soldati, comechè stanchi dal disagio sofferto in mare chiesero di partire. Dione non volle rallentare il loro ardore. Lasciate a Sinalo le bagaglie, le macchine e le armi, che in gran quantità portate avea, per fargliele giungere a Siracusa, mosse col suo drappello.
Dugento cavalieri agrigentini furono i primi ad unirsi a lui. A mano a mano come s’innoltrava, Geloi, Camarinesi, Leontini e quanti erano Siracusani sparsi per l’isola, vennero ad ingrossare la sua truppa. Giunta, in questo, la fama dello sbarco e dell’appressarsi di lui a Siracusa, Timocrate, che per parte del tiranno vi comandava, spedì un messo per dargliene avviso; ma questo non giunse (40); e Dionigi seppe solo dalla voce pubblica l’arrivo di Dione, quando costui era già in Siracusa.
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