Come Dione si avvicinava, la fama esagerava le sue forze; ed i suoi partigiani cominciarono a levar la testa, presidiavano l’Epipoli, posto importantissimo per la difesa delle città, alcuni Leontini ed una mano di quei Campani che aveano stanza in Catana. Corse voce fra costoro che Dione, prima di Siracusa volea assalire Leonzio e Catana; però, abbandonato il posto, si ritrassero alle case loro.
Dione, come fu presso l’Anapo, sostò e fece un sacrifizio al sole nascente. I suoi soldati, vistolo coronato di fiori pel sacrifizio, vollero coronarsi anch’essi. In questo, Siracusa cominciò a tumultuare; il popolaccio dava addosso a tutti i delatori del tiranno e li metteva a morte a furia di bastoni. I maggiorenti, vestiti di bianche tuniche, vennero incontro al liberatore della patria, inermi, perchè Dionigi gli avea disarmati. Timocrate, che più d’ogn’altro avea da temere, come colui che avea sposata la moglie di Dione, fuggì; e, per trovare scusa alla sua codardia, veniva da per tutto magnificando le forze di lui, e con ciò maggiormente lo favoriva.
Procedeva intanto Dione, splendidamente armato, in mezzo a Megagle suo fratello ed all’ateniese Callippo; lo seguiva la sua guardia di cento soldati stranieri; e poi con bell’ordine tutto il resto dell’esercito. Entrò per le porte Menetidi. Lunghesso le strade, per cui passava, erano esposte vittime, mense e tazze; corone e primizie a lui si offrivano; e a lui, come ad un Dio, porgevano i loro voti i cittadini. Entrato in Acradina, si fermò in un sito detto i Pentapili, ove Dionigi avea fatto eriggere un orologio solare; salitovi su, cominciò ad aringare il popolo.
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