I nemici furono da per tutto respinti. Molti corsero a chiudersi nella rocca. Coloro che restarono dispersi per la città, furono tutti trucidati. Passarono i cittadini il resto della notte ad estinguere l’incendio e a riattare in alcun modo le case, per potervi riparare alla meglio.
Fatto giorno, gli oratori popolari, che tanto aveano declamato contro Dione, sparirono. Soli Eraclide e Teodote restarono, e corsero a darglisi in braccio, confessando pubblicamente la loro nequizia. Consigliavano i suoi amici a Dione a non perdonare costoro, ed a consegnare Eraclide a’ suoi soldati per punirlo. Nol consentì; e rispose loro che, se gli altri capitani aveano appreso nel campo come vincere i nemici; egli avea appreso nell’accademia come vincere le proprie passioni. Tornò amico d’Eraclide; non però costui depose il mal talento.
Rivolto poi l’animo a riattare il vallo, che cingeva la rocca, fece ad ogni cittadino tagliare un broncone, e portarlo ivi presso; messivi tutta notte i suoi soldati a piantarli e commetterli, con somma sorpresa de’ Siracusani e de’ nemici, si trovò al far del giorno la rocca cinta tutto intorno da fortissimo steccato.
Convocata in quel giorno stesso l’assemblea, Eraclide fu il primo a proporre di dare al solo Dione il comando di tutte le forze. La parte migliore altamente lo approvava, e gridava che si venisse tosto al partito. Si levò a tumulto la turba dei marinai ed altra simile gentaglia, non volendo che fosse tolto ad Eraclide il comando delle navi. Il dabben Dione v’acconsentì. Ma non fu condiscendente del pari per lo decreto, già prima vinto, dell’eguale ripartizione dei beni, che fece cancellare.
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