Giurò Eraclide di non tentare più nulla contro Dione; giurò lo Spartano di vendicare Dione, se l’altro avesse rotto il suo giuramento.
Ciò non di manco la pace fra costoro non fu più delle altre volte durevole. Per decreto del popolo fu licenziata l’armata, che di grande spesa era, e grande incentivo dava alle interne perturbazioni. Credevano altronde i Siracusani essere sufficiente stringere la rocca dalla terra. Eraclide non potè sgozzarla, e covava sempre più rei disegni.
In questo, Apollocrate, mancatagli ogni speranza di soccorso, divenuto tanto stremo di viveri, che i mercenarî suoi minacciavano sedizioni, cesse la rocca, con tutte lo armi, ed ogni apparato di guerra; ed egli, caricato le cose sue sopra cinque triremi, colla madre e le sorelle vi s’imbarcò sul far del giorno, ed andò ad unirsi al padre. I cittadini l’un l’altro s’animavano a correre al lido per essere spettatori di quella partenza, e, com’e’ dicevano, a vedere nascere il sole in Siracusa già libera. Entrato nella rocca Dione, gli venne incontro Aristomaca sua sorella, tenendo per la mano Ipparino suo figliuolo, ed Arete sua moglie, la quale tutta timida e vergognosa s’arretrava, dubbia dell’accoglienza ch’era per fargli il marito, per le seconde nozze contratte. Dione, abbracciati prima la sorella e ’l figliuolo, corse piangendo ad abbracciare anche la moglie, e mandò tutti e tre alla casa sua, dove volle continuare ad abitare, lasciando la rocca in mano del popolo.
Mentre tutti in Siracusa, presi da insolito giubilo pel grande evento, si davano a solenni stravizzi e ad ogni maniera di clamorosa allegria, ed il nome di Dione suonava gloriosissimo per tutto; tanto che non solo le città di Sicilia, ma Cartagine e la Grecia tutta aveano gli occhi rivolti sopra di lui, egli, per lo vestire positivo, per lo ristretto numero de’ servi, per la parca mensa, parea si vivesse, non in mezzo a’ trionfi, ma con Platone nell’accademia.
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