Nè ad altro volgeva il pensiero, che a comporre il nuovo governo di Siracusa.
Discepolo di Platone, odiava come lui la pura democrazia, che quel filosofo chiamava, non governo, ma mercato di tutti i governi; conciosiachè diveniva nel fatto o aristocrazia, od oligarchia, o peggio che monarchia, secondo che uno o più furbi agitavano e dirigevano a posta loro la plebe, sempre ignorante, volubile sempre, e che pur sempre è la parte più numerosa della società. E però volea Dione torre ad esempio i governi di Sparta e di Creta, e fare una mescolanza di re e di popolo, in cui, come in Corinto, nell’aristocrazia fosse la somma delle cose; il popolo vi avesse tanta parte che bastasse a contrappesare la influenza degli ottimati; e l’autorità del re tenesse in bilico il governo.
Con tale intendimento fece venire da Corinto uomini valenti, che lo ajutassero de’ loro consigli, e chiamò anche Eraclide. Ma il pensiere di Dione non andava a sangue a costui, il quale volea nella plebe la somma autorità, per farne strumento della sua nequizia. Però chiamato da Dione per intervenire in que’ consessi, rispondeva, sè essere pronto sempre ad intervenire nell’assemblea del popolo, altrove non mai. Intanto, per istigare il popolo contro Dione, veniva dicendo essere manifesta la sua mira alla tirannide; per questo non avere demolita la rocca, ed avere vietato al popolo di abbattere il sepolcro del vecchio Dionigi, e gittarne via il cadavere; per questo aver chiamati a parte del governo i Corintî, non fidandosi ne’ cittadini.
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