Iceta coll’ajuto dell’armata cartaginese era venuto ad assediare Siracusa. Trovatovi lunga resistenza, levato il campo, si ritirava coll’esercito in Leonzio. Dionigi venne fuori ad inseguirlo, e ne molestava già il retroguardo. Rivoltosi l’esercito d’Iceta die’ addosso ai Siracusani, i quali, dopo lungo combattere, furono rotti. Tremila de’ mercenarî furono uccisi; gli altri fuggirono verso Siracusa: ma i soldati d’Iceta gl’incalzavano, in modo che con essi entrarono in città, e se ne fecero padroni, restando a Dionigi la sola isola colla rocca, che venne tosto assediata.
I Cartaginesi, appena sbarcati, erano corsi ad assediare Entella, città popolata di Campani. Chiesero costoro ajuto alle altre città. I soli Galarini (44) mandarono mille de’ loro, i quali, intrapresi ed accerchiati da’ nemici, furono tagliati a pezzi. Spaventati di ciò gli altri Campani, che abitavano in Etna, e che pur voleano accorrere, se ne rimasero. Entella, malgrado la fortezza del sito, fu espugnata.
In tale stato eran le cose in Sicilia, quando Timoleonte giunse a Reggio. Trovò egli venti navi cartaginesi nello stretto, pronte a contrastargli il passo, ed un messo d’Iceta, che lo invitava a passare egli solo in Sicilia, per ajutarlo de’ suoi consigli, e stabilire d’accordo quanto era da fare per le cose de’ Siciliani, purchè rimandasse le navi e la gente. Rispose Timoleonte sè essere pronto a tornare colla gente sua a Corinto: ma perchè non potesse apporglisi a delitto l’avere abbandonata la impresa, chiedea che ciò fosse stabilito in presenza del popolo reggino comune amico, che in ogni caso potea farne fede.
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