I due scherani a lui bel bello s’accostarono; erano già per trarre i pugnali che avevano soppanno, quando uno sconosciuto, che tenea loro dietro, con un gran fendente stese morto un di que’ due e fuggì, cercando salvezza sopra un’alta rupe lì presso. Fuggì l’altro assassino, e corse ad abbracciare l’altare del nume chiedendo mercè. Gli fu promesso il perdono, senza sapersi di qual delitto; ed ei confessò il misfatto ch’erano per commettere, egli ed il morto, e per cui incarico. Preso in questo l’uccisore d’in su la rupe, veniva gridando sè non meritare gastigo per avere vendicato il padre, ucciso, già tempo, in Leonzio da quel malvagio. Molti colà si trovavano, ch’erano stati presenti a quel caso, e lo attestarono. Fu rimandato libero il mandatario d’Iceta; e l’altro, non che impunito, ebbe dieci mine in dono da’ soldati corintî. Timoleonte sacrificò al nume per doppia ragione; e per la vittoria riportata, e per la vita come per portento salvata.
III. - Riuniti poi alla sua gente gli Adraniti e i Tindaritani, corse a Siracusa, e tanto inaspettato vi giunse, che Tica venne in suo potere senza resistere. Mamerco tiranno di Catana, potente e dovizioso principe, cercò sottrarsi al destino che lo minacciava, con istringersi in lega con lui. Timoleonte n’ebbe soldati, viveri e danaro in copia. Dionigi stretto da due parti, disperando delle cose sue, anzichè al cittadino traditore, volle rendersi allo straniero virtuoso. Mandò messi a Timoleonte per proporgli la resa, che fu tosto convenuta.
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