Giustissimo fu poi il giudizio. Di tutte le statue, di cui Siracusa era piena, solo quella di Gelone fu conservata, in premio della gloriosissima battaglia d’Imera.
Provveduto così alle cose di Siracusa, si rivolse Timoleonte ad estirpare i tiranni delle altre città. Iceta ebbe a pattuire di staccarsi dalla lega di Cartagine; demolire le fortezze di Leonzio; e viversi da privato cittadino fra’ Leontini. Leptine tiranno d’Engio, d’Apollonia e d’altre città, vistosi assalito entro Engio e sul punto di restarvi preso, volontariamente a lui s’arrese; ed ei lo mandò a Corinto, per dare ai suoi concittadini il grato spettacolo dei tiranni siciliani da lui deposti. Fornite tali imprese, per non fare che i soldati mercenarî stessero in ozio e fossero di peso allo stato, li mandò, sotto il comando di Dinarco e Demarato, a molestare il paese soggetto a Cartagine. Molte città vi presero, e tale bottino ne traevano che, non solo bastava al loro mantenimento, ma assai danaro mandavano all’erario della repubblica. Fu ripresa Entella. Quindici di quei cittadini, che grandi fautori s’erano mostrati de’ Cartaginesi, furono messi a morte. Allora tutte le città di greca origine, e molte delle Sicole che erano sotto il dominio de’ Cartaginesi, si resero libere ed a Timoleonte s’unirono.
IV. - I Cartaginesi, minacciati di perdere quanto aveano in Sicilia, fecero uno estraordinario sforzo. Un esercito di settantamila guerrieri, raccolti dalla Libia, dalla Gallia, dall’Iberia, dalla Liguria, venne in Sicilia; lo accompagnava l’armata di dugento galee e mille navi, sulle quali erano macchine, carri, viveri e quant’altro era mestieri per la guerra.
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