In questo le nebbie, che sul mattino levate s’erano dalle pianure, addensatisi in aria, scaricarono una grandissima tempesta di pioggia e di grangnuola, accompagnata da folgori e tuoni e da forte vento, che spirava contro ai Cartaginesi e li accecava; mentre il fragore dei tuoni, il mugghiare del vento, il fracasso che facevano le grandini nel percuotere gli scudi, li assordavano; però nè ben potevano parare i colpi de’ Siciliani, ai quali la tempesta veniva alle spalle, nè udire la voce dei capitani, I cavalli, aombrati dai continui lampi e dal frastuono, si arretravano; le quadrighe divennero d’impedimento alle prime schiere, e queste alle altre che sopravvenivano. Quei fanti cartaginesi, che primi erano stati a guadare il fiume, si trovarono chiusi dalle quadrighe di fronte, dal fiume da tergo, dalla cavalleria e da’ fanti di Timoleonte, che ne facevano aspro governo, sui lati. Il fiume, in questo, gonfiato per la dirotta pioggia, traripò; per cui le pianure d’ambi i lati divennero pantano. Quelle prime schiere, malgrado la pertinacia, con cui gran tempo resisterono, furono finalmente sgominate. Gravi per le pesanti armature, rese anche più gravi per le vesti inzuppate d’acqua, i soldati di Timoleonte ne facevano macello. Molti cercavano salvezza nel tornare indietro e ripassare il fiume; ma urtando le schiere posteriori, che accorrevano, le scompigliavano; gran numero ne cadevano, ed erano assorti dal fiume; perciò pochi ne arrivavano all’altra ripa, e questi, stanchi e disordinati com’erano, venivano assaliti e vi restavano o morti o presi; e nel tentare la fuga o sdrucciolavano, o cadevano nelle pozzanghere che l’acqua faceva.
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