Le schiere che restavano di là del fiume, s’affollavano per accorrere tutte; ma il fiume, il suolo, il temporale nol consentivano, e doveano guadare il fiume a spizzico, e combattere sempre con grande svantaggio; chè i Siciliani erano superiori per lo numero, per l’ordine e per la sicurezza della vittoria che accresce a più doppî l’ardire del soldato.
Perduta così la miglior parte di quel grande esercito, coloro che restavano, confusi e spauriti, abbandonate le armi, le salmerie e quanto aveano, si volsero a fuggire in rotta, nè si tennero sin che furono a Lilibeo. Tale era il loro spavento, che non osarono rimettersi allora in mare per tornare a Cartagine, per non esporsi all’ira degli Dei, che, a creder loro, combattevano per Timoleonte e’ Siciliani. Restarono sul campo, oltre quelli che annegarono, diecimila Cartaginesi, fra’ quali tremila alla ricchezza delle vesti furono conosciuti d’essere cittadini di Cartagine. Cinquemila prigioni furono messi a comune, oltre quelli che i soldati trafugarono. Dugento quadrighe, mille corazze, diecimila scudi di gran prezzo vennero in mano del vincitore. Tale fu la copia e la ricchezza delle spoglie, che i soldati impiegarono tre giorni a raccorne, comechè avessero solo pigliato ciò ch’era d’oro o d’argento, senza curare le cose di ferro o di rame. Bellissimo era il vedere la tenda di Timoleonte tutta parata di armi ed arredi ricchissimi.
Il terzo giorno fu eretto il trofeo. Colla notizia della vittoria, mandò Timoleonte a Corinto le armi più belle.
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