Chiamato di poi a parlamento il popolo (se popolo potea dirsi un misero avanzo di poveri e tremanti cittadini), si fece a declamare contro il governo de’ secento; disse essere stato astretto a quel passo dalla necessità di purgare la repubblica da coloro, che opprimevano il popolo. Ottenuto ciò, null’altro desiderava che deporre l’autorità e tornare in privata condizione. Così dicendo, si spogliò della tunica militare e del manto, I satelliti suoi cominciarono a gridare essere necessario che la somma potestà fosse a lui affidata. Veramente le cose erano ridotte a tale, che non vi era via di mezzo: o continuare negli orrori dell’anarchia, o dare il supremo potere al solo, che la potea reprimere. A quest’ultimo partito il popolo s’appigliò. Agatocle mostrò tempellare, poi dichiarò sè essere pronto ad accettare l’autorità che gli si dava, a patto d’essere solo nel comando, per non rispondere nelle colpe altrui.
Giunto a quel posto, cui da lung’ora agognava, si mostrò tutto diverso di prima. Non volle diadema, non volle guardie della sua persona; tutti liberamente a lui, andavano, e con tutti familiarmente usava. Dava terre, compartiva favori, studiava in modo di alleviare le pubbliche imposte; però vennne presto accetto al popolo. Al tempo stesso ricomponeva lo stato; aumentava l’esercito e l’armata. Quando a lui parve d’essere forte abbastanza, si diede nell’anno 1o dell’Olimpiade 116 (316 a. C.) ad estendere il dominio siracusano con sottomettere le vicine città. L’anno appresso assalì Messena, e gli venne fatto d’insignorirsi di uno dei suoi castelli.
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Olimpiade Messena
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