Nuovo intanto e più potente soccorso fu spedito da Cartagine. Erano ottanta galee ed assai navi da carico, sulle quali erano duemila cittadini Cartaginesi, diecimila Affricani, mille Etruschi, mille frombolieri, dugento carri da guerra, ed ingente quantità d’armi, di danaro, di viveri e di quant’altro era del caso. Ma come tutto quel naviglio venne fuori del porto, si levò una violentissima tempesta, per cui sessanta delle galee e dugento navi perirono, e con esse assai de’ Cartaginesi. Per la qual cosa furono coperte di neri panni le mura di Cartagine, come era solito nei grandi disastri. Ciò non di manco Amilcare di Giscone, cui il supremo comando era dato, giunto in Sicilia, assoldò nuova gente, ne trasse dalle città amiche, e ricomposto l’esercito, venne ad accamparsi anch’egli sul colle Ecnomo ove si trovò ad avere in tutto quarantamila fanti e cinquemila cavalli.
Si preparava Agatocle ad una battaglia. Ma, oltrechè il suo esercito era inferiore, e la sua armata avea non guari prima perduto venti galee in un conflitto co’ Cartaginesi, non volea correre diviato al nemico, lasciandosi alle spalle città a lui malaffette, che potevano nuocergli. Temeva particolarmente di Gela, città grande, potente e vicina al campo nemico. Adunque cominciò a fare entrare a spizzico e, come altrove diretti, soldati suoi in Gela. Quando a sufficienza ne ebbe introdotti, vi venne egli stesso ed accusò i più distinti cittadini di tradimento. Accusatore, testimone, giudice ed esecutore mise a morte, dicesi, quattromila cittadini dei più facoltosi, de’ quali appropriò i beni; e, pena la vita, volle dagli altri tutto il danaro e quanto aveano di prezioso.
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