I soldati d’Agatocle, colti dai ciottoli, cadevano a migliaja, o pesti od uccisi. Toccò allora ad essi ad arrestarsi. Ma Agatocle li riunì, li rianimò, e tornarono con tale impeto all’attacco, che in breve i suoi furono già dentro il campo, e già i Cartaginesi da per tutto piegavano. La totale disfatta loro parea inevitabile. In tal fortunoso momento una nuova mano di soldati, spediti da Cartagine, sopraggiunse ed attaccò di fianco i Siracusani, i quali, soperchiati dal subito ed inaspettato assalto, precipitosamente fuggirono, parte verso gli accampamenti; e parte lungo il fiume. La cavalleria nemica l’inseguì per cinque miglia, e nell’inseguirli ne faceva strage. Quelle pianure restarono gremite di cadaveri. Coloro, che camparono dal ferro nemico, perirono poi miseramente nel fiume. Era nel cuor dell’estate; di fitto meriggio; que’ miseri, alidi ed anelanti per lo combattere e per la corsa, si gittarono nel fiume, e tanto bevvero di quell’acqua salsa, che ne morirono. Perderono in quella battaglia i Cartaginesi mille dei loro, i Siracusani settemila.
Agatocle coll’avanzo della sua gente si ridusse a Gela, e fece correr voce d’esser fuggito a Siracusa. Trecento cavalieri cartaginesi, ingannati da ciò entrarono in Gela, credendo trovare un popolo amico, e vi restarono trucidati dai Siracusani. Voleva Agatocle attirare i Cartaginesi ad assediare Gela, per aver tempo di munire e provveder di viveri Siracusa. Amilcare in quella vece si diede a discorrere l’isola per suscitare nemici al tiranno, e venirlo ad assalire in Siracusa con forze prepotenti.
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