Il tiranno fece loro tener dietro da’ suoi mercenarî, i quali tolta loro la roba, li uccisero. Appropriò i beni dei pupilli, volle a forza danaro in presto da’ mercatanti; e senza rispettare la religione e la bellezza, tolse ai tempî e alle donne i più preziosi arredi. Diede la libertà a tutti gli schiavi atti a portare le armi, e ne accrebbe l’esercito. Per avere poi un pegno della fedeltà dei Siracusani, divise ogni famiglia; parte ne lasciò in Siracusa, e parte ne menò seco.
Sessanta galee erano preste; nè altro s’aspettava che il momento opportuno per ischivare l’armata nemica e partire. Nessuno ebbe lingua del suo progetto. Molti molte cose dicevano; ma tutti erano d’accordo nel compiangere il destino di coloro che partivano; perlochè disanimati erano i soldati. Avvistosene Agatocle, come l’esercito fu sopra le navi, dichiarò che ognuno che non volea partire era in libertà di tornare in terra. Coloro, che s’approfittarono di quel congedo, come codardi e traditori furono condannati a morte.
Mentre si aspettava una favorevole congiuntura per partire, s’avvicinarono al porto di Siracusa alcune navi cariche di viveri; l’armata cartaginese venne fuori per predarle. Agatocle non lasciò scapparsi la bella occasione, e partì l’anno 3o dell’Olimpiade 117 (310 a. C.). Avvistisine i Cartaginesi, non curando più di quelle navi, gli corsero appresso; onde quelle, entrate liberamente in Siracusa, vi portarono l’abbondanza. Stretto Agatocle da’ nemici, voltate le prore, si dispose in ordine di battaglia, comechè con forze inferiori.
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