Si attaccò la mischia; ma la notte pose fine al combattere, e diede campo alle galee siracusane di scantonare. Al far del sesto giorno erano presso il lido affricano. L’armata nemica tanto le incalzava, che, mentre le prime prendevano terra, alcuni dei legni cartaginesi più celeri degli altri attaccarono le sezzaje; ma coloro ch’erano già in terra a furia di dardi e di sassi li respinsero.
Come fu in terra l’esercito, Agatocle palesò ai soldati il suo disegno. Disse loro che il sicuro mezzo di liberare la patria dalla straniera invasione era quello di venire ad attaccare la sede stessa del dominio cartaginese. L’Affrica doviziosissima e piena di città mal munite, offriva loro assai preda e poco rischio; senzachè dovea necessariamente accadere, o che il nemico richiamava l’esercito di Sicilia, o ch’eglino si ricattavano in Affrica dal danno. I soldati risposero con vivi applausi.
All’audacissimo pensiere di venire a guerreggiare in Affrica tenne dietro un passo anche più temerario. Visto i soldati applaudire all’impresa, comparve fra essi in mezzo a’ suoi capitani, portando tutti sul capo corone di fiori. Disse aver egli prima di partire fatto voto a Cerere e Proserpina di bruciare le navi, tostochè avesse messo piede in terra affricana: essere mestieri adempire il voto, se non volevano provocare lo sdegno delle Dee tutelari di Sicilia.
In questo dire, dato di piglio ad una face, mise foco alla galea capitana. I soldati imitarono il suo esempio con somma ilarità. In poco d’ora tutto il naviglio andò in fiamme.
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