L’esercito cartaginese, più che doppio del siracusano, venne ad occupare una collina poco discosta. Schieratosi in battaglia, Annone tenne il corno destro ov’era la sacra coorte, Bomilcare il sinistro. E perchè il terreno non permetteva a costui di disporre la sua gente in lunga fila, ne formò una profonda falange. Nel fronte erano i cavalli, ed avanti a questi i carri. Era intenzione dei generali cartaginesi di spigner prima i carri, per isgominare i Siracusani, la cavalleria dovea romperli, tutto l’esercito poi compir la disfatta.
Agatocle, vista la disposizione del nemico, divise in quattro colonne la gente sua. Arcagato suo figliuolo con una schiera di duemila fanti, tenea la destra; un’altra di oltre a tremila Siracusani la sinistra; erano fra esse tremila mercenarî greci ed altrettanti Sanniti, Tirreni e Celti; egli, con mille fanti di grave armatura si pose nel centro, a fronte della coorte sacra. Mille arcieri e frombolieri furono spersi ne’ due lati. Restava una marmaglia inerme. A costoro fece Agatocle imbracciare le coperte degli scudi, tenute stese da verghe postevi entro, per far credere al nemico, più numeroso il suo esercito. Per incuorare poi i soldati, fece scappare alcune civette, di nascosto procacciatesi. La vista di quell’uccello sacro a Minerva, che fra le schiere volava, richiamò alla memoria de’ soldati lo stesso augurio, che avea pronosticato la vittoria di Salamina.
I carri si spinsero con violenza. Molti furono lasciati passare fra le colonne; molti furono rovesciati dai frombolieri; e molti aombratisine i cavalli per le ferite che riportavano in faccia, si volsero furiosamente indietro, e corsero sopra alla cavalleria, che disordinata si fece di fianco.
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