I capitani accorsero per acquetarli. Il trambusto avvertì i Siracusani, ch’erano di presidio all’Eurialo; i quali corsi all’armi diedero addosso a quelli che loro si pararono avanti, e li volsero in fuga. Le schiere che seguivano, tenendoli nemici, li respingevano. I primi, non conoscendo gli amici, gli uccidevano e n’erano uccisi. I Cartaginesi si tenevano traditi da’ Siciliani; questi da quelli; ed i Siracusani facevano macello e di quelli e di questi. L’oscurità della notte; le vie precipitevoli, anguste e mal note; la diversità delle lingue; il numero stesso accrescevano la confusione e i disastri. Tutti combattevano, senza sapere con chi; molti fuggivano, senza sapere per qual via; molti erano presi, senza saper da chi; l’esercito fu distrutto, senza saper come. Amilcare, dopo d’aver tutta notte combattuto, abbandonato da’ suoi, fu preso dai Siracusani. Menato in città, dopo di essere stato barbaramente cruciato, fu messo a morte, e ’l capo fu mandato in Affrica ad Agatocle.
La disfatta fu seguita dalla discordia nel campo nemico. Riunito in sommo stento l’avanzo dell’esercito, conosciuta la morte d’Amilcare, i collegati siciliani ed un corpo d’ausiliarî greci volevano che comandasse uno de’ loro. Un cartaginese volevano gli Affricani. I primi scelsero Dinocrate; gli altri colui che dopo Amilcare seguiva nel rango.
Fu allora che gli Agrigentini concepirono il nobilissimo pensiero di ridurre a libertà tutte le città siciliane, e, cacciati stranieri e tiranni, stringerle in lega generale, di cui Agrigento fosse il capo.
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