Venne ad Egesta, la sottomise, ne trattò crudelmente gli abitanti, e fin volle che, perduto il primo nome, Diceapoli, ossia città giusta, fosse chiamata (54). Ma sopravvenuti, non assai tempo dopo, i Romani in Sicilia, le tolsero anche quel nome e Segesta la dissero. Venuto poi l’avviso d’essere stati i suoi figliuoli Arcagato ed Araclide messi a morte dai soldati, ne trasse vendetta, facendo morire i costoro parenti.
Dinocrate intanto faceva progressi. A lui venne ad unirsi Pasifilo, generale del re, con la gente e le città da lui rette. Agatocle chiese pace, e fin propose di lasciare il regno e ristabilire da per tutto il governo popolare, contentandosi del dominio delle sole due città di Terme-imerese e Cefaledio. Forse non era egli sincero, ma Dinocrate non meno furbo ed ambizioso di lui, mentre si vantava campione della libertà, aspirava alla tirannide. L’accordo non seguì. Agatocle per mettere in diffedenza i collegati di Dinocrate, palesò loro le ambiziose mire di lui. Al tempo stesso conchiuse la pace con Cartagine nell’anno 3o dell’Olimpiade 118 (306 a. C.). Ebbe denaro e frumento in gran copia per la restituzione di tutte le città soggette alla repubblica.
Confortato da quel soccorso, si rivolse contro Dinocrate, e comechè il suo esercito fosse inferiore, lo affrontò. Nel principio dell’azione oltre a duemila de’ soldati di Dinocrate passarono dal suo lato. Pareggiate così le forze, Agatocle propose che senza spargere altro sangue ogni soldato fosse libero di rimpatriare.
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