I Siracusani conchiusero allora ad ogni patto la pace con Cartagine. Si obbligarono a ricevere tutti gli esuli ed amichevolmente trattarli; e per sicurezza dell’adempimento diedero statichi. Menone, mancatogli l’appoggio, si ritirò, nè più si parlò di lui.
Stanziavano in quel tempo in Siracusa gran numero di Campani, che nelle passate guerre aveano militato; gente prode ed audace. S’ebbero costoro a male, che nella scelta del nuovo magistrato della repubblica nessuno de’ loro ebbe parte. Si levarono a tumulto. Era per accadere una fiera guerra civile. Messisi per lo mezzo i cittadini più assennati, persuasero quegli stranieri ad andar via co’ loro beni. Essi vennero a Messena. Vi furono da’ cittadini benignamente accolti; ma sull’esempio degli altri Campani, che aveano a tradimento occupato Entella, assalirono all’impensata i Messenesi, parte ne uccisero, parte ne fugarono, e si fecero padroni delle città e delle donne loro nell’anno 1o dell’Olimpiade 123 (288 a. C.). Indi in poi costoro presero il nome di Mamertini, da Mamerto, che in loro lingua suonava Marte, da cui dicevano trarre l’origine. E, prodi come erano, vennero sottomettendo le vicine città ed estendendosi nel paese all’intorno.
Le principali città di Sicilia tornarono allora al tirannico governo. Iceta resse nove anni Siracusa, Tindarione Tauromenio, Finzia Agrigento. Avea sognato che in una caccia un cignale lo sbranava: però tutte le monete, che di lui restano sono allusive a tal sogno, avendo tutte improntato ora un cane, ora un cignale coll’epigrafe BASILEOS PHINTIA. Volle fabbricare una nuova città, che disse Finziade, sulla sponda meridionale dell’Imera, presso alla sua foce (55). Ne edificò con magnificenza le case, le mura, il foro, i tempî. Per popolarla distrusse Gela e ne menò ivi gli abitanti.
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