Ed altronde la Sicilia offriva alla stemprata sua ambizione un passo per portar le armi contro la stessa Cartagine.
I Mamertini ed i Cartaginesi vollero opporsi al suo passaggio, egli li schivò. Mosso da Taranto, venne a Locri; e quindi giunse a Tauromenio, Tindarione colle sue forze a lui s’unì. Fu amichevolmente accolto a Catana. S’avvicinò a Siracusa; e al suo avvicinarsi i Cartaginesi s’allontanarono. Sostrato e Tenione gli consegnarono la città, nella quale trovò gran quantità d’armi, di macchine e di galee, oltre i soldati. Qui vennero a trovarlo i messi d’Eraclide, che reggea Leonzio, i quali in suo nome gli offerirono la signoria della terra, una con quattromila fanti e cinquecento cavalli. Accettò la città; disse non aver mestieri di soldati. Salutato allora re di Sicilia, si diresse ad Agrigento. Sulla via vennero ad incontrarlo messi degli Agrigentini, per dargli avviso d’aver eglino cacciato il presidio della città e levato il comando a Finzia. Colà giunto, Sosistrato, primajo fra’ cittadini, gli consegnò la città con quattromila fanti ed ottocento cavalli, gente brava, non meno dei suoi Epiroti.
Tutte quelle forze riunite formavano un esercito di trentamila fanti e duemila cinquecento cavalli con alcuni elefanti, che per la prima volta furono veduti in Sicilia; ed un’armata di dugento galee. Con tale apparato si volse a sottomettere il dominio cartaginese. Eraclea, Selinunte, Alicia, Egesta si arresero. Erice fece grande resistenza. Visto che l’urto delle macchine non giungeva a spaventare i nemici, invocò Ercole; promise in voto giuochi e sacrifizî, se vi facea prova degna di lui.
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