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      Nell’esercito mamertino erano ottomila fanti, e, se non v’ha errore nel testo di Diodoro, soli quaranta cavalli. Li comandava Cione, uomo di segnalato coraggio. Prima di venire alle mani, staccò Gerone dugento esuli messenesi, tutti gente provata, ed a questi unì quattrocento de’ migliori soldati suoi. Dispose che tal drappello, nel bollore della mischia, venisse ad assalire alle spalle i nemici. S’attaccò la battaglia, che fu combattuta con indicibile valore dell’una e dell’altra parte. I Mamertini, comechè inferiori di numero, tennero lunga pezza in forse la vittoria. Ma quando, stanchi già dal lungo combattere, furono assaliti da quella schiera fresca, che con grande impeto entrò in azione, si volsero a fuggire in rotta; e i Siracusani inseguendoli ne facevano macello.
      Il prode Cione fu l’ultimo a cedere. Non voltò faccia; cadde semivivo pel sangue che versava dalle tante ferite. Gerone, che onorava il valore anche col nemico, lo fece condurre al campo, e ne raccomandò la cura ai suo’ chirurgi, i quali, medicate e fasciatene le ferite, cominciavano a sperar bene della sua vita, quando sopraggiunsero nel campo alcuni corridori, che dopo la battaglia erano restati a spazzar la campagna. Portavano costoro i cavalli spersi, fra’ quali conobbe Cione quello del figlio, onde argomentò d’essere stato ucciso: mosso da disperazione, slacciatosi le fasciature; si lasciò morire.
      Sopraffatti i Mamertini da tanta disfatta, aveano già preso consiglio di rendere Messena al vincitore; ma venne il cartaginese Annibale a distorli da tale proponimento.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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