I consoli aveano diviso l’esercito; metà si era accampato presso il tempio di Vulcano, tra la città e ’l mare di verso oriente; l’altra dal lato opposto. Dall’un campo e l’altro fecero tali ripari da impedire qualunque irruzione a’ nemici.
Bastava da cinque mesi l’assedio; e gli assediati pativano assai dalla fame. Il senato di Cartagine, conosciuta la situazione de’ suoi, mandò Annone con cinquantamila fanti, seimila cavalli e sessanta elefanti. Sbarcato il nuovo esercito a Lilibeo, tirò ad Eraclea, e quindi soprapprese Erbesso, essendone state aperte le porte da alcuni dei cittadini. Così l’esercito romano fu ridotto a mal partito; e, non avendo onde trar viveri, sarebbe perito, se Gerone non avesse fatto modo di mandarne loro come e quanto poteva. Ma questi erano a gran pezza inferiori al bisogno. A tale calamità vennero ad aggiungersi gravi malattie, che si manifestarono frai soldati, per le quali assai ne perivano; intantochè dopo due mesi che i Romani erano stretti da due eserciti, i consoli già pensavano a levare l’assedio; quando l’intolleranza di Annone venne a torli d’imbarazzo.
Erano gli Agrigentini, ridotti tanto stremi di vettovaglie, che Annibale e con messi e con faci accese faceva d’informare Annone delle loro angustie. Quegli, o che fosse ignaro dello stato calamitoso, in cui erano i Romani, o che credesse, che indeboliti dalle malattie e dalla fame, non avrebbero potuto fare resistenza, sceso dal colle Tauro, ov’era accampato, venne ad offrir loro la battaglia, che i consoli con lieto animo accettarono.
| |
Vulcano Cartagine Annone Lilibeo Eraclea Erbesso Gerone Romani Annone Agrigentini Annibale Annone Romani Tauro
|