Venutosi alle mani, venne fatto ai Romani di volgere in fuga l’antiguardo de’ nemici. Gli elefanti che appresso venivano, aombrati da quelle prime schiere, che fuggivano, e dalle grida de’ Romani, che le inseguivano, si volsero correndo indietro. L’urto di quelle tragrandi bestie sgominò il corpo di battaglia. Venne facile ai Romani, che impetuosamente lo assalirono, ed ordinatamente combatteano, di romperlo del tutto, e farne tale strage, che pochi se ne salvarono in Eraclea, lasciato ai Romani tutto il campo e gli elefanti, dei quali alcuni erano stati uccisi nella mischia.
Nel cuore della seguente notte, Annibale approfittandosi della poca vigilanza, con cui i Romani stanchi dal combattimento, facevan le stolte venne fuori dalla città. Il domani vi entrarono i Romani, dopo un assedio di sette mesi, in cui aveano perduto meglio di trentamila soldati. Più di venticinquemila di quei cittadini furono ridotti in servitù. Alla caduta d’Agrigento tenne dietro quella d’altre città e luoghi di minor nome; perocchè i nuovi consoli L. Valerio e L. Ottacilio venuti nell’anno 4o dell’Olimpiade 129 (261 a. C.) tosto dopo la resa d’Agrigento, avevano menato seco altre legioni.
Ciò non però di manco difficile sarebbe stato ai Romani espugnare le altre città marittime, anzi tenere a lungo le acquistate, finchè i Cartaginesi erano padroni del mare. Però mise la repubblica ogni studio a provvedere una grande armata, comecchè non avesse avuto fin allora alcun legno da guerra, ed ignorantissimi fossero stati i Romani nelle marinarie.
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