XI. - Pure Gerone, che tanto splendido si mostrava verso gli stranieri, si vivea modestissimo. Gl’infami baccani del secondo Dionigi; le porpore, gli aurati cocchi, e soprattutto la coorte di sgherri a guardia della sua persona, furono ignoti a quell’ottimo re, il quale abbastanza si teneva difeso dall’amore de’ sudditi, e dava loro col suo vestire positivo, colla parca sua cena, esempio di sobrietà, non di sfrenatezza. Ed alla sua temperanza si ascrive il lungo viver suo. Varcato già il novantesimo anno, voleva spogliarsi d’ogni autorità e ristabilire il governo popolare. Avea egli avuto tre figli; un maschio, che dal proavo ebbe nome Gelone, e due femine. Gelone era morto, lasciando un figlio per nome Geronimo, ancora adolescente. Andronodoro e Zoilo, mariti delle due figlie del vecchio re, sperando avere gran parte nel regno, se regnava il nipote, si valsero del mezzo delle mogli per distogliere il padre dal proponimento di rimettere la repubblica. Il buon vecchio non seppe resistere alle preghiere delle figliuole. Lasciò il regno al nipote, cui destinò quindici tutori, fra i quali furono i due generi. Pochi giorni prima di morire chiamò il nipote e i tutori, e raccomandò loro di conservare l’amicizia con Roma. Non guarì dopo finì di vivere nell’anno 1o dell’Olimpiade 140 (220 a. C.)
CAPITOLO XIII.
I. Condotta di Geronimo. - II. Guerra da lui dichiarata ai Romani: Geronimo è messo a morte. - III. Perturbazione di Siracusa: assalto dato dai Romani. - IV. Macchine d’Archimede.
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