- V. Strage d’Enna. - VI. I Romani espugnano l’Esapile: Tica e Neapoli si rendono: Ortigia ed Acradina prese a tradimento: morte di Archimede. - VII. Strage degli Agrigentini.
I. - Morto appena Gerone, la corte di Siracusa cambiò d’aspetto. Temevano i tutori che il popolo avesse disapprovata la disposizione del morto re; però convocata l’assemblea, vi fecero intervenire molti loro partigiani, i quali, letto il testamento di Gerone, applaudirono ad alta voce. Gli altri non osarono opporsi. Il testamento fu confermato. Superato quel passo, i due zii del nuovo monarca, e particolarmente Andronodoro, per essere soli a governare il regno e ’l re, si diedero a secondare i capricci dell’inesperto Geronimo e corruppero affatto il suo cuore, già di per se inchinevole al vizio. Per disfarsi degli altri tutori cominciarono ad insinuargli essere egli savio abbastanza per reggere se e lo stato; e però rinunziarono la tutela. Gli altri, buono o malgrado, ebbero a fare lo stesso. Allora Geronimo si fece conoscere affatto degenere dall’avo. La reggia tornò sentina d’ogni vizio, come a’ tempi del secondo Dionigi; lo stesso fasto; le stesse turpitudini; gli stessi satelliti; le uccisioni stesse. Degli altri tutori, altri andarono volontariamente in bando, ed altri furono uccisi. Restarono soli a godere la confidenza del principe i due zii ed un Trasone.
Erano costoro discordi in un punto essenziale. I due fratelli, sedotti dalle splendide vittorie di Annibale in Italia, per cui pareva che la fortuna romana avesse dato volta, volevano che Geronimo, staccatosi dall’amicizia di Roma, si unisse a Cartagine; a scanso che i Cartaginesi, disfatti del tutto i Romani, non rivolgessero le forze loro contro il regno siracusano.
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