Trasone all’incontro faceva ogni possa perchè Geronimo non si dipartisse dall’avvertimento datogli dal morto re. Un di quei giorni un giovane, Celone di nome, familiare del re, venne a svelare una congiura che si ordiva in Siracusa contro di lui, nella quale era stato invitato ad entrare da un Teodoro. Preso costui, fu dato ad Andronodoro l’incarico di mettere in chiaro la cosa. Teodoro non negò il delitto; ma, o per farsi scudo del nome di uno degli amici del principe, o per suggestione d’Andronodoro, disse Trasone essere il capo della congiura. Trasone fu dannato a morte, nè altra ricerca fu fatta.
Reso arbitro Andronodoro del governo, di leggieri indusse Geronimo a stringersi in lega coi Cartaginesi contro Roma. Messi furono spediti ad Annibale, messi a Cartagine. Annibale, lieto di quel destro che la sorte gli offriva, mandò a Siracusa i due fratelli Ippocrate ed Epicide, per confermare il re siracusano nel suo pensiere. Erano costoro nati in Cartagine, ma di nazione siracusana, perocchè il loro avo da Siracusa a Cartagine si era rifuggito, per essergli stata apposta la morte d’Agatarco figliuolo d’Agatocle.
Appio Claudio, pretore romano in Sicilia, cui tali mene non erano ignote, spedì ambasciatori a Siracusa per chiedere la rinnovazione della alleanza. Geronimo, che già in mente sua scalpitava Roma, accolse con disprezzo que’ messi. Celiando chiese loro notizie della battaglia di Canne; e per ischerno maggiore mostrava commiserare Roma. Con romano cipiglio, que’ messi risposero, ch’eglino sarebbero ritornati quando avrebbe egli imparato il modo di ricevere colla dovuta dignità gli ambasciatori; ma badasse bene prima di romperla con Roma; e partirono.
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