Il popolo le staccò dalle sacre pareti, pregando il re de’ numi a benedire quelle armi, destinate a sostenere la libertà. Andronodoro, per difendere i granai pubblici, che tagliati erano nella viva rocca, e muniti sì che non di leggieri potevano essere espugnati, vi mandò una scelta schiera di giovani soldati. Costoro, come l’ebbero in consegna, fecero sapere al popolo che i granai erano a disposizione del senato.
Il domane al far del giorno il popolo si riunì nella piazza d’Acradina; come Teodoro e Soside aveano la notte gridato. Ivi un Polineo, accostatosi all’ara della Concordia, disse che prima di venire alla prova dell’armi contro Andronodoro, erano da tentare le vie di pace: e propose di mandare a lui un messaggio, per fargli sapere, che il senato e ’l popolo siracusano volevano ch’egli aprisse le porte dell’isola e consegnasse il presidio; che se egli avea in animo di usurpare la tirannide, sapesse, che tutti i cittadini armati gli minacciavano la fine stessa di Geronimo. Tutti applaudirono. Il messaggio fu spedito. Il senato, che dalla morte di Gerone non si era più riunito, riprese le ordinarie sue funzioni.
Avuto quel messaggio, Andronodoro tempellava tra la paura e la brama di giungere alla tirannide, cui lo istigava la moglie, figlia degenere del buon Gerone. Vincendo finalmente la paura, rispose, essere pronto a rinunziare al comando e sottomettersi all’autorità del senato e del popolo. Il domane aprì le porte e venne nella piazza di Acradina. Ivi nel luogo stesso, in cui il giorno avanti avea orato Polineo, si scusò dell’indugio, mettendo avanti il timore che il popolo non avesse voluto mettere a morte tutti i congiunti e ministri di Geronimo.
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