Riavuto di queto Eloro ed Erbesso, e di viva forza Megara, si accostò ad Agrigento. Trovò che Imilcone, ripresa al primo sbarco Eraclea, v’era giunto prima di lui, e vi s’era fermato con tutto l’esercito. Nè volendo il console assai dilungarsi dall’assedio di Siracusa, per imprendere quello di Agrigento, tornò indietro, marciando sempre in buon ordine, per non esser colto alla sprovveduta da’ Cartaginesi. I Siracusani erano entrati in tanta fidanza delle proprie forze, che spedirono diecimila fanti, e cinquecento cavalli sotto il comando d’Ippocrate ad unirsi all’esercito cartaginese. Erano costoro giunti in Acrilla, castello non guari discosto da Siracusa. Fermativisi, vi stavano piantando gli alloggiamenti, quando sopraggiunse lo esercito romano, il quale tutt’altro, che quell’incontro si aspettava. Assaliti e tolti in mezzo i Siracusani, sbrancati e senz’armi com’erano, meglio d’ottomila ne restarono uccisi. Ippocrate con un racimolo della sua gente rifuggì in Acre, e quindi andò a congiungersi ad Imilcone, e tramendue vennero a fermarsi nel lato orientale di Siracusa presso l’Anapo. Nel tempo stesso l’armata cartaginese, forte di cinquantacinque galee, comandata da Bomilcare, entrò nel gran porto.
V. - In questo, trenta galee romane approdarono in Panormo, portando sopra la prima legione. Imilcone, credendo che quella truppa si dirigeva a Siracusa per la via di terra, si mise in guato per intraprenderla, ma i Romani lo schivarono, venendo per mare. Bomilcare, le cui forze divennero inferiori a quelle de’ Romani, per la giunta delle trenta galee, levate le ancore, tornò a Cartagine.
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