VI. - Seppe Marcello giovarsi dell’avviso. Nella notte in cui previde che i Siracusani avvinazzati mal potevano vegliare, fatti avanzare mille soldati colle scale, li fece nel più alto silenzio salire sulle mura di quella torre. Trovate le scolte immerse nel sonno o barcolanti, senza strepito le uccisero. Entrati quindi nell’Esapile, ne sconficcarono una delle porte, e per essa entrò il resto de’ Romani. Spuntava già l’alba. Dato fiato alle trombe, misero i Romani un alto grido di vittoria, e corsero ad assalire l’Epipoli. I soldati che lo difendevano, sopraffatti dall’ebbrezza e dalla sorpresa, o precipitarono per quegli scosci o furono uccisi o caddero in mano de’ vincitori. Espugnato l’Epipoli, Marcello fece d’avere anche l’Eurialo. Era questa una fortezza posta sull’ultima altura dietro l’Epipoli; però guardava tutte le campagne da quel lato. Vi comandava Filodemo da Argo, il quale non si lasciò nè sedurre, nè intimorire. Il sito era tanto forte, e tanto i Romani erano scottati dal primo assalto dato alla città, che il console non s’attentò venire a tal prova. Fattosi indietro, venne a porsi ad oste tra Tica e Neapoli. Nè guari andò che quelle due parti (forse meno difese delle altre) mandarono al console oratori per arrendersi. I cittadini ebbero salva la vita e la libertà: ma quanto si avevano per le case fu preda del soldato romano. Filodemo allora, perduto ogni speranza di essere soccorso, rese l’Eurialo.
Restavano ancora sulle difese Acradina ed Ortigia. Tale era Siracusa che quelle sole parti di essa, tanto diedero che fare ai Romani, che si ridussero ad un pelo di perdere tutto il frutto della vittoria.
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