Le malattie di giorno in giorno infierivano; divenute contaggiose, dagli ammalati s’avventavano ai sani; e presto si venne a tale che languivano le genti senza conforto, e perivano senza sepoltura. I Siciliani, ch’erano nel campo cartaginese, si ritirarono nelle vicine città, e quindi venivano ingrossandosi per dar soccorso d’uomini e di viveri agli assediati. Fra i Romani, per essere più lontani dalla sorgente del male, e per essersi ritirati in quelle parti della città che erano in poter loro, ove ebbero alcun conforto, la morìa fu minore. Ma fra i Cartaginesi che stavano lunghesso il fiume, in campo aperto, il male fece strage, e ne perirono fra gli altri i due capitani Imilcone ed Ippocrate.
In questo Bomilcare, corse con tutta l’armata in Cartagine, per chiedere nuovi soccorsi per gli assediati, e ne ripartì con centotrenta galee e settanta navi da trasporto, cariche di vettovaglie. La speranza del vicino soccorso ringagliardì il coraggio de’ Siciliani. Più ostinati nella difesa si mostravano gli assediati; in maggior numero e più minacciosi accorrevano gli altri al di fuori. Ma alla speranza successe il timore, pel ritardo del desiderato soccorso. Epicide, lasciato il comando ai capitani de’ mercenarî, salito in nave, corse incontro a Bomilcare. Lo trovò di là dal capo Pachino, sul punto di rivolgere le prore verso l’Affrica; perchè il vento ostinatamente contrario non gli permetteva di superare quel capo, e temeva di venire a battaglia co’ Romani col disvantaggio del vento.
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