Fu fatto. Nuovi pretori furono scelti dal popolo, ed alcuni di questi vennero al campo romano, per sottoscrivere il trattato. Ma il destino serbava più gravi calamità all’infelice Siracusa. I disertori romani e i soldati stranieri, temendo non quello accordo ritornasse sopra il loro capo, levatisi a tumulto misero a morte i pretori rimasti in città e quanti cittadini erano in voce di favorire l’accordo. Scelti comandanti del loro numero, s’accinsero a respingere gli assalitori. Marcello corrotto con larghe promesse un Merico spagnuolo, che uno de’ comandanti, era, nel cuor della notte mise entro Acradina una presa de’ suoi, per una porta, che quello, come indettato si era, avea lasciata aperta. Quei Romani fecero man bassa sopra i rivoltuosi; al tafferuglio corsero colà coloro, che a guardia erano d’Ortigia, che, rimasta così indifesa, fu in poco d’ora espugnata; e quindi i Romani corsero ad Acradina, ove fugarono e misero a morte i difensori. I miseri Siracusani chiesero allora salva la vita, e questa sola fu loro concessa. Pure, nel dare il sacco alla città, fu morto il grande Archimede, mentre stavasi, non distolto dall’orrendo trambusto, a delineare figure geometriche. Se tal destino toccò ad Archimede, malgrado gli ordini, che si dicono dati dal console, di custodirlo e onorarlo, è facile il pensare che assai altri cittadini ebbero a cadere sotto la spada del vincitore. Così cadde finalmente Siracusa l’anno 1o dell’Olimpiade 142 (212 a. C.). Il bottino fu eguale, se non più ricco di quello, che non molto dopo, trassero i Romani dall’opulentissima Cartagine.
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