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      Nel consolato di L. Ottavio e C. Cotta il senato avea stabilito, che, derogando a quella legge, le decime del vino, dell’olio e degli altri piccoli prodotti si vendessero in Roma. Si trovava ivi l’illustre Stenio termitano, il quale, tanto disse in senato per mostrare il grave danno che sarebbe venuto alla Sicilia da tale novità che i consoli, riesaminato l’affare col consiglio dei più distinti fra’ cittadini, rivocarono il decreto.
      Oltre alla decima del frumento, che si dava per tributo, si traeva dalla Sicilia il frumento, che si diceva comprato. Si obbligavano gli agricoltori a dare una seconda decima, ed ottocentomila moggia se ne facevano contribuire a tutte le città, secondo una ripartizione che faceva il pretore. Questo si pagava ad un prezzo invariabile fissato dalla legge: cioè la seconda decima tre sesterzî il moggio, l’altro quattro (85). E ciò mentre, dalle memorie che sono a noi pervenute abbiamo notizia d’essere stato il prezzo del frumento talvolta quindici sesterzî il moggio. Pure quel misero prezzo non tutto si pagava. Se ne toglieva una parte per la buona moneta; un’altra per ragione di un così detto cerario, e due cinquantesime per diritto del cancelliere.
      Traevano oltracciò i pretori dagli agricoltori un’altra quantità di frumento, che da loro si stabiliva, e si pagava a quattro sesterzi il moggio; dovevano eglino trasportarlo a loro spese nel luogo, che il pretore designava. E, perchè era in facoltà degli agricoltori di dare in vece del frumento, il soprappiù del prezzo di esso, secondo che si vendeva nella città ove dovevano consegnarlo, tale frumento si diceva estimato.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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