Si dava costui vanto d’avergli la dea Cibele presagito dovere egli un giorno essere re. Antigono si prendeva gioco di tali giullerie del suo servo. Spesso lo chiamava, mentre a mensa sedeva, lo interteneva del futuro suo regno, e facendone le risa, lo regalava di qualche boccone (Anno 2o Olimpiade 172: 91 a. C.)
Era nella città stessa un Damofilo, ricco cittadino, ma innanzi ad ogni altro superbo e crudele verso gli schiavi; se non che la Megallide sua donna, non lo vinceva già, che ciò non si poteva, lo pareggiava. Disperati finalmente i costui servi, corsero ad Euno, chiedendolo se giunta fosse l’ora del suo regno; e, risposto da lui del sì, armatisi alla meglio, guidati dall’ignivomo re, quattrocento di loro entrarono in città, e colti sprovvedutamente gli Ennesi, ne fecero strage. Nè risparmiarono pure i bambini lattanti, ai quali, battendoli fortemente in terra, facevano schizzare le cervella.
Una mano di essi corse alla casa di campagna del feroce Damofilo; trattonelo colla sua donna, li menarono in città e li condussero al teatro, ove i sediziosi erano adunati. Damofilo tentò impietosirli, ma un Ermea, suo particolar nemico, gli ruppe le parole passandolo fuor fuori colla spada; e Zeusi gli troncò il capo colla scure. La Megallide fu consegnata alle serve, dalle quali fu prima straziata e poi fatta morire, precipitandola da quelle bricche. Una costoro figliuola, che sempre pietosa s’era mostrata verso gli schiavi, ed avea cercato d’ammollire la ferocia de’ suoi genitori, non che risparmiata, fu condotta a’ suoi parenti in Catana.
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