I suoi compagni, anzi che arrendersi, vicendevolmente si uccisero; egli col cuoco, il fornajo, colui, che lo stropicciava nel bagno, ed il buffone, ritrattosi in una lustra, vi fu preso. Tratto nelle carceri di Murganzio, vi morì di morbo pediculare.
Fornita così l’impresa, Rupilio si diede a discorrere per l’isola per estirpare altre piccole ladronaje, che nel disordine generale erano surte. E molti provvedimenti diede per lo buono regolamento della provincia. In questo, i consoli frugando i libri Sibillini, vi trovarono che bisognava placare l’antichissima Cerere. Forse quell’oracolo aveva un senso più profondo, ma i Romani lo interpretarono letteralmente. Sacerdoti, scelti dal collegio dei Decemviri, vennero a fare pomposi sacrifizî nel tempio di Cerere in Enna. Ma le vere cagioni che movevano lo sdegno di quella Dea non furono rimosse. Le iniquità de’ pretori romani continuarono. Un C. Porzio Catone, ch’ebbe in que’ dì la pretura, fu accusato di concussione da’ Messenesi, e condannato all’ammenda di diciottomila sesterzî. La rea condotta de’ magistrati venne allora preparando i materiali per una seconda più terribile conflagrazione, che scoppiò dopo ventott’anni, nell’anno 2o dell’Olimpiade 179 (63 a. C.).
VIII. - Solevano allora gli agricoltori, e particolarmente i Romani avveniticci, condurre per prezzo i mandriani, i bifolchi, gli armentarî, i castaldi ed altra gente buona all’agricoltura, dalle città e dai regni collegati di Roma. Costoro, che liberamente venivano, credendo dovere essere mercenai, appena giunti erano posti in catena, marchiati e ridotti alla più dura servitù. Il senato, volendo por fine a tanta iniquità, ordinò ai pretori e proconsoli di restituire a libertà tutti coloro, che senza dritto erano tenuti in catena.
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