Così ripigliò Salvio il tolto; ebbe per giunta tutte le armi e le bagaglie del nemico; gran nome acquistò, non che di prode, ma di mansueto guerriero; e senz’altro timore tornò all’assedio di Morganzio.
Era in quella città gran numero di servi, ai quali promise libertà, se cogli sforzi loro avessero agevolata l’impresa. Libertà promettevano loro al tempo stesso i rispettivi padroni, se avessero cooperato alla difesa della città. Que’ meschini lo promisero e combatterono con tanto valore, che gli assalitori furono da per tutto respinti; ma quando chiesero il promesso premio, il pretore vietò ai loro padroni di tenere la promessa. Aizzati da ciò fuggirono e vennero ad accrescere lo esercito di Salvio.
In questo, di verso Segesta si levò in armi un altro stuolo di schiavi, capitanati da un’Atenione di Cilicia, tenuto fra’ suoi esperto astrologo ed indovino. Aveva costui sortito dalla natura estrema forza, gran cuore ed animo nè volgare, nè straniero alla giustizia. Venne in campo da prima con soli dugento compagni, che in cinque giorni giunsero a mille. Salutato da essi in re, vestì la porpora e le insegne regali. Fra tutti i profughi, che a lui in folla tutto dì accorrevano, dava le armi solo a coloro, che, per la robustezza e la perizia nel maneggiarle, eran da ciò; e ponea gli altri a quegli uffizî, sopra i quali prima erano. Per levare a’ suoi il mettere a guasto i campi, disse loro avere letto negli astri sè dovere un dì regnare su tutta Sicilia; e però tenessero suoi i campi, gli armenti, le case, e si guardassero dallo sperperarli.
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