Raccolto diecimila compagni, pose l’animo a farsi padrone di Lilibeo, forse indettato co’ servi che lì entro erano. Trovata malagevole l’impresa; per non iscuorare i soldati, disse loro, che gli astri minacciavano alcun grave disastro, se si ostinavano in quell’assedio. Mentre si ritirava, posero a quel lido molte navi romane, cariche di truppe ausiliarie. Gomone, che le comandava, visto quella masnada, che nel cuor della notte si dilungava, la inseguì, soprapprese appena i sezzai, e molti ne uccise. Tal contrattempo giovò ad Atenione, che indi in poi fu tenuto affatto infallibile indovino.
La Sicilia fu allora per divenire un vasto deserto. Le campagne erano saccheggiate da coloro stessi che solevano coltivarle. Per la miseria e per lo disordine generale, anche i liberi cittadini si attruppavano e vivevano di ruba. Le città si ridussero come assediate, nessuno osava venirne fuori. Salvio, saccheggiati i campi leontini, sacrificato agli Dei Palici, ai quali donò un manto di porpora in riconoscenza della vittoria di Murganzio, tenendo a vile il nome primiero, Trifone si fece chiamare.
Prese allora consiglio di espugnare Triocala (94) per istabilirvi sua sede. Con tale intendimento invitò Atenione ad accomunare le forze; e questo, che la causa di tutti, più che il suo ingrandimento avea in mira, a lui venne con tremila de’ suoi, per avere mandato gli altri in cerca di preda e di compagni. Triocala fu presa, ma il vile Trifone, temendo non Atenione volesse spogliarlo della regia autorità, lo fece mettere in catene.
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