E, come se nulla avesse più da fare, posta a negghienza la guerra, si diede in quella vece ad opprimere i Siciliani con ogni maniera di concussioni; per cui fu dannato alla multa e al bando. Non meglio di lui si condusse C. Servilio, che a lui successe nel governo dell’isola. E però Atenione, che per la morte di Trifone era venuto re, sperperava a posta sua la Sicilia, spingendo talvolta le devastazioni sino a Messena.
Finalmente venne in Sicilia il console M. Aquilio con nuovo esercito. Avea costui nome di pro guerriero, nè in quell’occasione lo smentì. Non pose tempo in mezzo ad affrontare Atenione, nè questo schivò l’incontro. Mentre i due eserciti ostinatamente combattevano, i due comandanti vennero a corporal battaglia, nella quale ambi mostrarono quanto valevano. Finalmente Atenione vi restò ucciso, l’altro gravemente ferito; ma tutto ferito ch’era, non lasciò d’incalzare i nemici già messi in rotta. Diecimila, che ne sopravvissero, ritrattisi nelle loro fortificazioni, continuarono lunga pezza a difendersi, finchè ne rimasero soli mille capitanati da un Satiro, i quali furono presi e, condotti in Roma, furono dannati alle fiere. Quegli uomini ferocissimi diedero a’ non men feroci Romani il grato spettacolo d’uccidersi l’un l’altro. Satiro, che restava in fine, da se si trafisse.
CAPITOLO XV.
I. Nuove calamità della Sicilia. - II. Cicerone. - III. Verre: sue iniquità e concussioni. - IV. Furti d’oggetti di belle arti. - V. Sua accusa e condanna. - VI. Colonie romane stabilite in Sicilia.
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