Chiamò in giudizio i due fratelli; estorse da essi quattrocentomila sesterzî; e li ridusse all’indigenza.
Le Leggi di Rupilio, la legge geronica, i senatusconsulti, il dritto pubblico insomma de’ Siciliani furono da lui o espressamente cancellati, o tenuti in non cale. Non altri che lui ebbe facoltà di giudicare; ed egli vendeva pubblicamente i giudizî. Un Eraclio di Gerone da Siracusa aveva avuta da un suo congiunto un’eredità di tre milioni di sesterzî, nella quale era una gran quantità di vasellame d’argento cesellato, tappezzerie di gran valore servi di gran pregio. Il testatore, avea imposto all’erede di erigere alcune statue nella palestra, pena la caducità in favore de’ gladiatori. Le statue erano state erette.
Verre pose gli occhi sopra quel boccone, nè ebbe a stentare a trovare un’appicco per istendere l’artiglio a quell’eredità. Accusatori, falsi testimonî, giudici iniqui, ministri delle sue turpitudini di ogni maniera, ne aveva a josa. Fece comparire contro Eraclio l’accusa, che le statue erano state da lui per altra cagione poste; la condizione però voluta dal testatore non era stata adempita, onde si chiedeva tutto il lascio, in nome de’ gladiatori, e per essi del popolo siracusano. Stupì Eraclio; stupirono tutti i Siracusani della strana domanda. Invano quello infelice gridava, che in un piato tra ’l comune e ’l cittadino, si traessero, giusta la legge rupilia, i giudici da una vicina città; invano s’allontanò, sperando che contro la legge non si sarebbe condannato un’assente.
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