Cancellò nel processo tutti que’ passi, dai quali appariva d’essere stato Stenio assente, e vi scrisse sopra d’essere stato presente, contro la testimonianza di tutta Sicilia e di tutta Roma. Ma Stenio depauperato, bandito nella testa in Sicilia, restò in Roma onorato da tutti.
Tali furono tutti i giudizî di quel tristo. Ma non fu questa la sola via che tenne per estorquere danaro. Poste in non calo tutte le leggi, le città siciliane non ebbero più la scelta dei loro magistrati. Qualunque carica, alla quale era addetto o lucro od onore od autorità, fu ad arbitrio del pretore conferita e da lui venduta a contanti, senza tenere alcun conto del censo, dell’età, del modo d’elezione, che le leggi avevano determinato. Giovani imberbi furono senatori in Alesa; nuovi avveniticci furono i più dei senatori di Agrigento e d’Eraclea. In Siracusa si doveva eleggere il sommo sacerdote di Giove. L’antichissima forma d’elezione era, che tre se ne proponevano a suffragio pubblico, e frai tre si sceglieva a sorte. Verre, che si faceva beffe e delle leggi e della religione, ed avea venduta la carica ad un Teomnasto, ordinò che in tutte e tre le polizze fosse scritto quel solo nome, e così ebbe Teomnasto il sacerdozio, ad onta de’ clamori e della pubblica indegnazione.
In Cefaledio era anche da eleggere il sommo sacerdote. Un’Atenione, soprannominato Climachia, agognava al posto; e per averlo, aveva pattuito con Verre il dono di due preziosi bassirilievi d’argento, che a costui facevano gola, quanto il sacerdozio all’altro.
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