Ma coloro ch’erano soliti vivere della loro industria e de’ loro capitali, abbandonarono, non che i campi, il paese natale. L’isola si ridusse tanto deserta che, secondo Cicerone, nelle parti più fertili di Sicilia cercavi invano la Sicilia.
IV. - Verre, non solo depauperò la Sicilia, la spogliò di tutti quegli ornamenti, che mostravano l’opulenza e la civiltà sua ne’ tempi andati. Nessun vaso fu in Sicilia d’argento, nessuno di quei di Delo o di Corinto; nessuna gemma od altra pietra preziosa; nessun simulacro di bronzo, di marmo e di altra materia; nessun che d’oro o di avorio; nessun quadro dipinto o ricamato, che da costui non fosse stato minutamente ricercato, esaminato e, quando gli dava nel genio, appropriato. Ciò egli chiamava industria, i suoi amici insania e malattia, i Siciliani latrocinio, Cicerone non sapea qual nome convenirgli.
La stessa Messena, città sua prediletta, che chiamava sua seconda patria, che sola in Sicilia pigliò costantamente le parti di lui, e mandò a Roma suoi legati per encomiarne la condotta, non andò esente da tali sue rapine Un C. Ejo, capo di quella legazione, confessava in Roma avere Verre portato via dalla sua casa una statua di Cupido, di marmo, opera di Prassitele; una d’Ercole di bronzo, di Mirone; due anfore di Policleto ed una tapezzeria tessuta d’oro.
Aveva egli seco menato due fratelli nati in Babuz di Frigia, e quindi profughi, de’ quali uno era cerajuolo e l’altro pittore. Costoro ivano investigando, per tutte le città, per tutte le case, che che vi fosse di pregevole.
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