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      Il domani mandò pregando il re volere prestati tutti que’ vasi, e quella tazza, per farli vedere a suoi orafi. Il re li mandò; Verre non li restituì; nè quello entrò allora in timore di perderli.
      Aveva inoltre quel re un gran candelabro, fatto a bella posta, e da lui portato in Roma, per consacrarlo a Giove nel tempio del Campidoglio. Per la copia delle gemme, per la delicatezza del lavoro, per la grandezza, era dono veramente degno di esser posto da un gran re sull’altare del re dei numi. Trovato ancora imperfetto il tempio, senza mostrare ad alcuno il candelabro, lo riportava in Siria, con animo di rimandarlo con espressa ambasceria. Verre, non si sa come, seppe di ciò. Colle più calde espressioni cominciò a pregare il re a lasciargli vedere il candelabro, promettendo di non permettere che altri lo vedesse. Il re, che ragazzo era, nè conosceva l’uomo, il consentì. Il candelabro, involto com’era, fu celatamente portato al pretorio. In vederlo, Verre trasecolò. Non si stancava di lodarne la ricchezza, la bellezza; e quando i servi del re s’accingevano a riportarlo, disse loro, non essere ancora sazio d’ammirarlo; e con modi cortesi li pregò a lasciarlo, che il domane l’avrebbe egli stesso rimandato. Passano uno, due, tre giorni, nè il candelabro tornava. Il re mandava per esso, Verre, or con un pretesto, or con un altro, lo menava per parole. Finalmente il re stesso, venuto in diffidenza, avuto a se il pretore, gli disse volere senza ritardo restituito il candelabro. Quello cominciò a pregarlo a fargliene un dono.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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