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      Eppure era quella una delle città privilegiate. Vinti al fine que’ cittadini, consentirono a dare la statua; e tale era la loro religione, che non si trovò alcuno nè libero, nè servo, nè cittadino, nè straniero, che avesse voluto dar mano al sacrilegio. S’ebbero a far venire da Lilibeo barbari, che colà erano, per atterrarla.
      Più atroce fu il caso di Tindari. Era ivi una statua bellissima di Mercurio, anch’essa tolta dai Cartaginesi e restituita da Scipione. Verre ordinò d’atterrarsi e darglisi. Nol vollero fare i Tindaritani. Chiamò a se il proagoro Sopatro, e con piglio severo gl’impose di fargli avere la statua, se non voleva morire sotto lo scudiscio. E ciò non fra se e lui, ma in pubblico, mentre sedea nel suo tribunale. Sopatro venne in senato, espose la dimanda e le minacce del pretore. Il senato concordemente rispose: esservi decreto di morte per chi osava proporre di levare quella statua. Il proagoro gramo e sconfortato, venne a dar la risposta. Verre lo fece a suoi littori denudare e trar fuori dal portico ov’e’ sedea. Erano nel foro due statue equestri de’ Marcelli, di bronzo; ad una di esse lo fece legare, disteso. Era di fitto verno, un giorno oltre all’ordinario freddissimo per la tempesta e la pioggia dirotta. Quel misero ne sarebbe morto di ghiado, se il popolo mosso a pietà del crudele spettacolo, non fosse corso al teatro gridando doversi perdere più presto la statua, che permettere la morte d’un illustre cittadino, del primo magistrato della città. Il senato si piegò. La statua fu concessa a Verre.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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